Come Raggiungerci
Città dell'Altra Economia
Roma
Fundraising To Say si terrà alla Città dell’Altra Economia – Largo Dino Frisullo SNC, 00153 Roma RM
Puoi venire a Fundraising To Say con i mezzi pubblici, in bicicletta o in macchina.
Troverai le rastrelliere e un largo parcheggio.
In Metro
Dalla Stazione Termini: Metro linea B, scendere a Piramide.
Da lì è una piacevole camminata di circa 10 minuti (850m).
In autobus
- 719 (fermata Galvani/Zabaglia di fronte al MACRO)
- 170 e 781 (fermata Largo Marzi)
In tram
- 3 (fermata Marmorata/Galvani)
Dove ti troverai
Il mons Testaceus, ovvero il “monte de’ cocci”
Testaccio è il ventesimo rione di Roma, e deve il suo nome ad un sito archeologico più unico che raro: il monte Testaccio, popolarmente detto anche monte de’ cocci in romanesco.
Il suo nome deriva dal latino mons testaceus cioè “monte [fatto] di cocci” (da: testae, ossia “tegole”, “anfore” o “cocci” appunto): la collina è infatti composta da numerosi strati di cocci di oltre 53 milioni di anfore in terracotta – per lo più olearie – ordinatamente disposti lì in epoca romana e provenienti dal vicino porto fluviale sul Tevere: l’Emporium.
Il monte è alto circa 36 metri sul piano stradale!
Questo incredibile luogo nasce quindi, di fatto, come “discarica” del porto fluviale dell’Emporium, a partire dal periodo augusteo fino alla metà del III secolo, quando tale impiego si ridusse progressivamente fino ad arrestarsi completamente.
L’origine del monte si deve al fatto che le anfore provenienti dal porto, una volta svuotate del contenuto venduto sul mercato capitolino, non potevano essere riutilizzate per altri generi alimentari in quanto non smaltate all’interno e che solo una piccola parte di esse veniva riciclata come materiale di costruzione: tutte le altre venivano perciò fracassate e i loro cocci poi ordinatamente accatastati in quello che, nell’arco di oltre due secoli, divenne un enorme cumulo innalzato poco lontano dai moli.
L’ordine con cui i materiali risultano disposti, la presenza nel terreno di calce sparsa a intervalli regolari per attenuare il cattivo odore derivante dalla decomposizione dei residui alimentari e l’esistenza di un piano inclinato ben progettato che consentiva di giungere fino in cima a bordo di carri, lasciano supporre che la discarica fosse tutt’altro che improvvisata e affidata in gestione a curatores.
Per secoli i romani sfruttarono le proprietà isolanti dell’argilla per ricavare, alle pendici del colle artificiale, numerose grotte al cui interno la temperatura si attesta tutto l’anno intorno ai 10 °C. I locali scavati tra i cocci vennero adibiti a cantine, dispense o stalle; a partire dal medioevo essi ospitarono osterie e, dall’epoca moderna e contemporanea, ristoranti e locali notturni.
Il carnevale di Testaccio
In epoca medioevale sul monte si celebrava il carnevale, che gli valse l’altro nome (meno famoso e duraturo) di mons de palio: si ha testimonianza del Ludus Carnevalarii già nel 1143, quando, alla presenza del Papa, a Testaccio si svolgevano pali, giostre ed eventi. I giochi più apprezzati, però, erano quelli più cruenti: vi si allestivano tauromachie e la più popolare “ruzzica de li porci” ovvero carretti di maiali vivi che venivano spinti giù dalla collina e, quando essi si sfracellavano a valle, il popolo dava la caccia ai frastornati animali. Per molti costituiva una delle poche occasioni per mangiare carne.
Si hanno purtroppo anche testimonianze di giochi infamanti, per non dire infernali, nei confronti della comunità ebraica: alcune volte i contendenti del palio si sfidavano a cavallo di ebrei. Da descrizioni più tarde invece risulta l’uso di far rotolare un anziano ebreo in una botte chiodata dal colle di Testaccio. Nel corso dei secoli la comunità ebraica fu “invitata” a versare un tributo di 1.130 fiorini per “esonerarli” dalla partecipazione al carnevale: 1.100 fiorini di tassa, più 30 fiorini a “rimborso” dei trenta denari pagati a Giuda per tradire Gesù Cristo.
Nel XV secolo, trasferito il carnevale in via Lata per volontà di papa Paolo II, il monte divenne punto di arrivo per la Via Crucis del Venerdì Santo, simboleggiando quindi il Golgota, come testimonia una croce ancor oggi infissa sulla cima.
Testaccio moderno
Fino alla bonifica e alla riorganizzazione urbana, successiva all’annessione di Roma al Regno d’Italia nel 1870, la zona era popolata da contadini poveri e pastori, soggetta alle alluvioni del Tevere e infestata dalla malaria. Testaccio continuava ad essere, come all’epoca della Roma antica, inestricabilmente legata al fiume Tevere: dismesso l’antico porto dell’Emporium, nacque sull’altra sponda del Tevere e qualche metro più all’interno il porto di Ripa, detto “Ripa Grande” per via della sua importanza.
Inoltre, lo spazio tra il monte de’ cocci e le mura era ad uso pubblico, e chiamato “i prati del popolo romano“: i romani la frequentavano come passatempo ed erano destinazione tradizionale delle gite di pasquetta e delle ottobrate.
Il rione, in quanto entità amministrativa, è di istituzione abbastanza recente: fu scorporato nel 1921 dal vasto e poco popolato rione Ripa (quello dell’omonimo porto, al di là del Tevere), anche se il Testaccio aveva una sua identità da sempre e godeva di non buonissima fama, legata appunto ai traffici del porto e della sua gente. Ancora nel 1884 in un’indagine del Comune di Roma si leggeva che Testaccio deteneva il primato nazionale del consumo di alcolici.
Rione assolutamente popolare, oltre a essere luogo d’elezione dei passatempi e delle scampagnate dei romani, fu la culla dell’A.S. Roma con il suo primo campo di calcio.
Il Campo Boario e il Mattatoio
La Città dell’Altra Economia si trova nel Campo Boario adiacente all’ex Mattatoio di Testaccio, XX Rione di Roma.
Progettato e realizzato dall’architetto Gioacchino Ersoch tra il 1888 e il 1891, era il luogo dove venivano custoditi gli animali prima di essere avviati al macello nel vicino mattatoio, e dove si effettuavano le contrattazioni tra i mercanti di bestiame. L’area era divisa in due zone, una per il bestiame domito e una per quello indomito, con ingressi e uscite diversi. Un camminamento, protetto da barriere di ferro, consentiva il passaggio delle persone verso l’area delle contrattazioni; a metà circa del percorso fu costruito un padiglione a due piani con la funzione di torretta di controllo; infatti dalla terrazza, raggiungibile grazie ad una scala elicoidale in ferro, era possibile osservare tutto il mercato.
La scelta di questa zona della città per la costruzione di queste due strutture non fu casuale: già il primo piano regolatore di Roma capitale del Regno d’Italia, approvato nel 1873, prevedeva che l’espansione industriale della città dovesse avvenire nella zona Ostiense; favorivano questa scelta il territorio pianeggiante e la presenza di varie vie di comunicazione – per l’appunto la via Ostiense, il fiume Tevere con il porto di Ripa (ancora attivo), e la ferrovia.

Il mattatoio di Roma fu per molti anni il più avanzato in Europa.
Fu dismesso nel 1975, insieme al Campo Boario, e sostituito con una nuova struttura posta al quartiere Prenestino.
Nel 2000 è stato approvato il progetto di ristrutturazione dell’intero complesso, determinando una suddivisione funzionale: nell’ex mattatoio si trovano ora il MACRO Future, acronimo del Museo d’Arte Contemporanea di Roma, attività universitarie per l’Accademia d’Arte e per la Facoltà di Architettura di Roma Tre, mentre le pensiline del Campo Boario, gli spazi per le pese e i rimessini ospitano, dal 2007, la Città dell’Altra Economia.
Il progetto è inserito nel più vasto recupero dell’area del Mattatoio che darà luogo alla Città delle Arti.
Bonus
Per chi è arrivato a leggere fino a qui, c’è un piccolo bonus: Testaccio ospita anche il Cimitero Acattolico di Roma, noto anche come “cimitero degli inglesi” o “cimitero degli artisti e dei poeti”.
Dal momento che le norme della Chiesa Cattolica vietavano di seppellire in terra consacrata i non cattolici (tra cui protestanti, ebrei e ortodossi), ma anche suicidi e attori, le loro inumazioni avvenivano fuori le mura e di notte, per evitare manifestazioni di fanatismo religioso e per preservare l’incolumità di coloro che partecipavano ai riti funebri.
Un cimitero dedicato agli attori, ad esempio, era fuori Porta Pinciana, dove adesso corre via del Muro Torto. Il cimitero degli ebrei invece era sulla collina dell’Aventino di fronte al circo Massimo: ora vi si trova il roseto comunale.
Nella zona di Testaccio di cui abbiamo già parlato, quella chiamata “i prati del popolo romano“, e più precisamente ai piedi della Piramide Cestia, subito fuori Porta San Paolo, si sviluppò, quasi sicuramente per consuetudine piuttosto che per editti papali o concessioni della Chiesa, un luogo di sepolture per i “signori non cattolici“, laddove per signori si intendeva personaggi a cui si voleva risparmiare “l’onta di trovare sepoltura assieme alle prostitute e ai peccatori nel cimitero del Muro Torto”.
Questa usanza andò avanti sostanzialmente nel disinteresse generale (in quel prato ci pascolavano le greggi e i romani ci andavano a fare scampagnate fuori porta) e con controlli blandi da parte delle autorità papali fino agli anni 20 del XIX secolo, quando un custode fu incaricato di sorvegliare l’area e le funzioni cimiteriali. Piano piano l’area fu prima recintata e poi murata; più in generale le autorità se ne iniziarono ad occupare vietando nuove inumazioni ed individuando nuove aree idonee alle sepolture.
I grandi e centenari cipressi, il prato verde che circonda parte delle tombe, la bianca piramide che svetta dietro la recinzione di mura romane, insieme ai gatti (c’è una nutritissima colonia felina, e una tomba è dedicata anche a Romeo, un gatto particolarmente affezionato al luogo e ai suoi visitatori) che prendono il sole e passeggiano indisturbati tra le lapidi redatte in tutte le lingue del mondo, conferiscono a questo piccolo cimitero uno stile inimitabile.
Oltre allo stile e all’ambiente veramente unico, sono anche i nomi di alcuni personaggi sepolti che danno ancora più fascino al luogo: tra tutti, spicca quello di John Keats, poeta inglese morto a Roma di tubercolosi.
La storia ha fatto sì che il cimitero sia destinato all’estremo riposo in generale dei non-cattolici stranieri, senza distinzione di nazionalità. Principalmente protestanti ed ortodossi orientali, ma ad oggi vi si possono trovare tombe appartenenti ad altre religioni quali l’Islam, lo Zoroastrismo, il Buddismo e il Confucianesimo.
Per lo spazio esiguo a disposizione e per mantenere intatto il carattere del luogo, solo eccezionalmente viene concessa la sepoltura a italiani illustri che, per la cultura alternativa espressa in vita (“straniera” rispetto a quella dominante), per la qualità della loro opera, o per le circostanze della vita siano stati in qualche modo “stranieri” nel proprio paese. Tra loro, vale la pena di menzionare Antonio Gramsci e Antonio Labriola, il poeta Dario Bellezza, gli scrittori Carlo Emilio Gadda e Luce D’Eramo, la stilista Simonetta Colonna di Cesarò e l’attore Arnoldo Foà.
Da ultime, nel 2019 sono state portate qui le spoglie di Andrea Camilleri.